di Tiziana Etna
Bentornata Silvia, o Aisha, perchè per alcuni la sostanza non cambia con un diverso nome o la conversione ad una differente religione.
Bentornata figlia, sorella, nipote,amica, connazionale, dolce e semplice ragazza illusa di poter cambiare lo stesso complicato mondo che senza “forse” ha cambiato te.
Ogni campo d’interesse dell’informazione ha da argomentare intorno alla notizia della liberazione di Silvia Romano avvenuta la notte tra l’8 e il 9 maggio scorso in Somalia, dopo che era stata rapita nel novembre 2018 finendo nelle mani di Al Shabaab. Si parla del suo ritorno a casa grazie ad un presunto, quanto probabile, riscatto, dell’intervento dei servizi segreti e della sorpresa per la conversione all’islam. Sembra evidente che non siamo riusciti a trattenerci neanche noi, tuttavia, non c’è volontà di argomentare ma solo di manifestare solidarietà a Silvia che dopo diciotto mesi di prigionia e di chissà quale terrificante e contrastante condizione, a suo dire prevalentemente emotiva, fa ritorno a casa a Milano travolta dal ricevimento in pompa magna, tant’è che lo zio della Romano ha criticato il governo per averla esposta gestendo male la situazione dal momento che è scesa dall’aereo, senza offrirle un primo atto d’intimità con la famiglia e senza possibilità di un adeguamento progressivo, costretta presto a dover chiudere i profili social e a parlare di protezione neanche fosse un pentito latitante, tra l’altro protetta “no” dal terrorismo al quale è stata sottratta, ma dalla bassezza, dalla cattiveria e dal morbo giudicante di chi se almeno puntasse il dito contro qualcuno, ne punterebbe tre verso se stesso ed uno in cielo in richiesta di aiuto, e invece si limita a puntare il dito su una testiera, nascosto dietro un pc a digitare le vomitate aspre di una probabile frustrazione personale e lo stesso vale per chiunque avrebbe dovuto accoglierla ricordando che è lei la vittima, oltre ai cinque africani di cui quattro bambini rimasti colpiti durante la sparatoria avvenuta al momento del rapimento.
Silvia Romano è incinta! e anche se fosse? costretta a sposarsi. E anche se fosse? Sicuramente non sarebbe l’epilogo di una libera scelta, cosi come lei sola conosce la spinta o il pensiero illuminante che l’ha condotta ad abbracciare il corano: che sia stata costretta, indotta, accompagnata, per sempre o per circostanza. Abbiamo pagato un riscatto per una mussulmana? Ebrea, buddista, induista, mussulmana, e anche se fosse? E’ italiana! E poi l’abbiamo pagato un riscatto? C’è omertà, l’argomento è delicato ma rassicurano che se è stato pagato non è stato fatto con i soldi dei contribuenti, bensì con quelli dei servizi segreti. Ma anche se fosse?…non ri-vorremmo tutti i nostri figli a casa? Resta il pericolo che con i soldi del riscatto vi comprino armi, ma la colpa non sarà certo di Silvia, quanto dei termini della negoziazione. Tuttavia, solo accogliendo lei, ciè che può aver vissuto e con il tempo, sarà possibile comprendere tutte le sue vere ragioni .
Al magistrato Sergio Colaiocco e al colonnello del Ros Marco Rosi, Silvia ha raccontato:-” prima del rapimento al villaggio di Chakama in Kenya mi erano venuti a cercare due uomini e non gli avevo dato peso” . Continua la narrazione spiegando che viene portata via da quattro uomini in moto qualche giorno dopo, ma le moto si rompono presto costringendoli a proseguire a piedi nella giungla per un mese circa prima di raggiungere la prima casa di prigionia, è impaurita e stremata, gli uomini hanno volti coperti e sono armati, ma la nutrono la curano e la trattano bene, non la picchiano ne violentano, assecondano le sue richieste di scrivere, leggere e pregare, le danno un quaderno, un pc senza connessione, libri ed il corano e di questo ne parla in inglese con il suo carceriere, quello che suppone sia il capo, da qui le ipotesi della Sindrome di Stoccolma, mistica o classica; e ancora, se fosse?
Come si può giudicare ciò che non si conosce? Intanto un “bentornata a casa” sarebbe stato doveroso.